Non so voi, ma quando viaggio per lavoro io non somiglio per niente a quelli che nei film (ma anche nelle sale d’attesa degli aeroporti) indossano la divisa del businessman in movimento. Sarà perché i miei viaggi non sono finanziati da una multinazionale e non prevedono la business class, sarà perché quasi tutti i miei spostamenti rientrano nella categoria del cosiddetto “bleisure” (francamente il neologismo più brutto degli ultimi dieci anni), ovvero “business + leisure”, e perché i due giorni extra che in genere mi prendo per visitare la città per me contano quanto i due pomeriggi che passerò con colleghi e clienti. Il motivo per cui non viaggio come i protagonisti di Mad Men è che non ce lo possiamo permettere. No, non ho sbagliato, la frase corretta non è “non me lo posso permettere” (che è comunque vero, ma quella è un’altra storia): a non potercelo permettere siamo tutti noi come popolazione del pianeta. Viaggiare, come ogni altra attività umana, ha un impatto sull’ambiente, ma questo impatto può essere ridotto. Il fatto che ad attendermi al termine dei miei spostamenti ci sia di solito un cliente o un evento collegato in qualche modo alle arti e non un consiglio di amministrazione, indubbiamente, mi rende più facile prendere in considerazione la sostenibilità ambientale prima che le apparenze. Questo, tuttavia, non vuol dire che gli amministratori delegati siano moralmente esentati dal doversi preoccupare delle conseguenze delle proprie scelte. Dico a te: tu, proprio tu che leggi questo articolo mentre attendi il decollo del tuo jet privato: hai sbagliato tutto.
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