I millennials saranno ricordati, probabilmente, come la “generazione startup”. Chi è nato nell’ultimo ventennio del secolo scorso (suona malissimo, ma è il caso di iniziare ad accettarlo), ricorderà altre parole chiave, che hanno segnato qualche qualche anno o qualche lustro, promettendo carriere folgoranti e alimentando la produzione di brutti film con trentenni in giacca e cravatta intenti a bere cocktails a bordo piscina e a decretare la chiusura di aziende in Asia attraverso telefoni cellulari grandi come forni a microonde. Prima delle startup, per esempio, c’è stata la tech-bubble, il momento d’oro del business “.com” e una pluralità di altre mode che ricalcavano sempre lo stesso modello. Una manciata di imprenditori si imbarca in attività produttive legate a tecnologie appena scoperte o che sfruttano stili di vita relativamente recenti, ottiene un successo enorme data l’assoluta mancanza di concorrenza, produce una nuova piccola generazione di miliardari e un paio di biografie interessanti da far interpretare a star hollywoodiane considerevolmente più attraenti degli originali. Seguono a ruota migliaia di persone più o meno normali che, avendo visto i film e letto un paio di articoli di costume, ritengono di aver appena trovato la via più breve per il paradiso metaforico e fiscale, ma – mancando completamente delle caratteristiche necessarie per seguire quel percorso – falliscono miseramente e passano i successivi decenni a dichiarare, inascoltate, che si trattava di una bufala fin dall’inizio.
[…] da zero è uno dei modi più rischiosi in assoluto per arricchirsi. Il tasso di fallimento delle nuove imprese è del 90% e ci vogliono capitali ingenti per avviare un business. Prima di avviare il mio business di […]
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