L’autunno, per molti, è sinonimo di trade show e quindi di meeting. Incontrare sconosciuti con l’intento di incrementare il proprio volume d’affari è interessante e stimolante di per sé le prime due o tre volte che lo si fa, dopo di che si tende a costruirsi una propria routine, come in tutte le cose. Una delle prime capacità da affinare, se si vuole trarre il meglio dal tempo trascorso fra stand e pop-up bar, è quella di identificare al volo le offerte di meeting che è meglio declinare, perché le probabilità che questi incontri si traducano in risultati apprezzabili sul piano lavorativo sono praticamente nulle. Per quanto le fiere siano contesti molto specifici, le conoscenze e le abilità che si sviluppano in queste occasioni si rivelano utili anche nella pratica lavorativa quotidiana e costituiscono un corso accelerato sull’arte di non sprecare il proprio tempo. Altre nozioni, che ho acquisito nella mia personale esperienza, limitata per lo più ai trade show dell’industria discografica, includono il fatto che gli stand ungheresi tendano ad avere i gadget migliori, che le delegazioni catalane portino in giro per li mondo sempre lo stesso pannello stampato da almeno dieci anni e che il catering degli stand svedesi includa spesso dei superalcolici. Riconosco tuttavia che queste nozioni possano non essere utilissime nella vita di tutti i giorni. Ecco quindi un piccolo compendio dei meeting che vanno sempre evitati, non solo in fiera, ma anche in ufficio, a casa, al bar, in treno, in palestra e in cima al Monte Everest.
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