Il mercato del lavoro e il settore dell’istruzione secondaria in Italia non stanno vivendo esattamente una fase rosea. Le preoccupazioni si alternano: da un lato c’è la difficoltà per i non laureati di trovare i cosiddetti lavori “non qualificati”, dall’altra quella per i laureati di trovare lavoro in generale. A tutto questo si aggiungono l’emigrazione di giovani, laureati e non, e la crisi delle università sempre meno frequentate e che producono sempre meno laureati. Come spesso accade, tuttavia, mentre noi ci guardiamo le scarpe, il resto del mondo ha cominciato a camminare in tutt’altra direzione e anche le politiche che da noi si mettono in atto per rispondere ai problemi sembrano essere in controtendenza rispetto alle scelte che vengono effettuate altrove. Di recente il noto gruppo editoriale Penguin Random House ha annunciato che non considererà più la laurea come un requisito necessario per le nuove assunzioni. Illustri precedenti in questo senso includono Google, Ernest & Young e PricewaterhouseCoopers (due fra i più noti network di consulenza fiscale d’Europa). Improvvisamente, quindi, ai diplomati si aprono possibilità che prima sarebbero state loro precluse. E se anche le aziende Italiane scegliessero di adottare criteri differenti nella selezione dei nuovi assunti? Che cosa ha motivato i grandi brand internazionali a cambiare i loro criteri di assunzione?
La situazione in Italia
L’Italia ha una media di laureatifra le più basse dei paesi dell’Ocse (34% contro 50%) e anche chi si laurea, in media, guadagna meno che in altri paesi. Nonostante gli stipendi dei laureati tendano a essere comunque più alti rispetto a quelli dei non laureati, anche all’interno di questa fascia la disoccupazione è comunque al di sopra della media europea. Posto che si tratta di una crisi più ampia, che investe tutto il mercato del lavoro e non solo il segmento dei laureati, potrebbe essere interessante cominciare a considerare nuovi criteri di assunzione e di valutazione del lavoro, nonché degli standard dell’istruzione universitaria.
Le ragioni delle imprese
Il noto network di consulenza fiscale Ernest & Young ha dichiarato di aver preso in esame uno studio effettuato su 400 impiegati e di non aver rilevato alcuna correlazione fra il successo accademico e la qualità del lavoro svolto. Alla stessa conclusione sono arrivati il professor Peter Cappelli, della Wharton School, presso l’Università della Pennsylvania, Laszlo Bock, vice presidente di Google e Neil Morrison, responsabile delle risorse umane di Penguin. Tutte queste aziende e un numero crescente di altri brand hanno dichiarato che, a fronte di questi risultati, preferiscono basare le assunzioni su altri criteri, al fine di attingere a un bacino di candidati più ampio e che rispecchi maggiormente le diverse categorie presenti nelle rispettive società. Questo non vuol dire, naturalmente, che i laureati debbano sentirsi scoraggiati dal cercare lavoro presso queste aziende, ma semplicemente che anche i non laureati, qualora ritengano di essere meritevoli e capaci di svolgere un certo lavoro, sono i benvenuti a prendere parte a un processo di selezione che mira a includere piuttosto che a escludere.
Metodi alternativi di selezione
Quanto detto finora vuol dire forse che le aziende in questione, in particolare alcuni fra i più grandi colossi finanziari occidentali, siano improvvisamente da intenti umanitari ed ecumenici e sentano il bisogno di farsi paladine delle differenze culturali? Naturalmente no: decisioni su così larga scala sono sempre motivate, come del resto si legge nei comunicati ufficiali delle imprese stesse, da una sola considerazione: il desiderio di ottenere un vantaggio e un profitto maggiori. Selezionare il candidato ideale per una posizione vuol dire, per l’azienda, risparmiare tempo e risorse nella corsa al profitto. Scegliere quello sbagliato, viceversa, comporta una serie di perdite: una più bassa qualità del lavoro svolto potrà portare a un ridotto margine di guadagno quando non addirittura a una perdita, sostituire il candidato sbagliato con quello giusto implica una serie di difficoltà burocratiche e cospicui investimenti di tempo e risorse in nuovi cicli di selezione e formazione. Le aziende che hanno scelto di intraprendere la strada dei metodi alternativi di selezione dichiarano di trovare assai più efficaci i test pre-assunzione, rispetto alla mera considerazione dei titoli di studio e del curriculum. Laddove il processo di assunzione tradizionale prevedeva nell’ordine la selezione dei curricula, i colloqui e poi eventualmente i periodi di prova, il nuovo modello inverte i fattori. I curriculum contano limitatamente, mentre i test, soprattutto quelli psicometrici e quelli legati all’ambito professionale specifico, hanno un peso assai maggiore nel determinare il passaggio del candidato alle fasi successive della selezione.
Talenti nascosti
Questa scelta ha il pregio di rendere accessibili una serie di potenziali candidati, spesso dotati delle competenze e capacità che si cercano, ma che hanno acquisito queste competenze al di fuori di un percorso accademico tradizionale. Laddove alcune istituzioni universitarie sono progressivamente scadute nell’autoreferenzialità, veicoli di conoscenza alternativi sono emersi, permettendo a chi lo desideri di acquisire conoscenze di alto livello seguendo canali diversi da quelli tradizionali. Questo non significa, naturalmente, che Wikipedia sia una valida alternativa a un corso di studi: come per molte realtà che stanno cambiando il volto della società, dal crowdfunding ai social media, la sostanza delle cose tende a restare immutata. Non si è ancora dato il caso di qualcuno che abbia raggiunto risultati davvero soddisfacenti senza alcun impegno o giocando a CandyCrush. Si sono però presentati numerosi esempi di individui che hanno raggiunto livelli di eccellenza nel proprio settore impegnandosi a fondo e seguendo percorsi non tradizionali. Quello che le aziende vogliono oggi è aprirsi a questo afflusso di nuovi talenti, limitandosi a far cadere le barriere burocratiche che li tenevano lontani.
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