Attenzione, questo articolo contiene spoiler di Black Mirror. Non so voi, ma io ci ho messo quattro serie a capire il senso del titolo. E quando l’ho capito, mi ha sconvolto come il giorno in cui, alla tenera età di 25 anni, scoprii che gli U2 si chiamano in realtà “You Too”. Probabilmente siete tutti più svegli di me e io sono in minoranza, eppure non mi era venuto in mente, nonostante abbia seguito questa serie fin dalla primissima stagione, quando era ancora un’oscura produzione inglese, prima che Netflix ne facesse un successo mondiale. Nel caso ci fosse fra voi qualcuno altrettanto distratto, vi spiego il significato di Black Mirror. Lo “specchio nero” è quello che ci ritroviamo davanti ogni volta che gli schermi che normalmente utilizziamo sono spenti. Tablet, smartphone, computer, televisori al plasma: tutti questi strumenti ci mostrano una realtà coloratissima, frenetica, più vera del vero, per poi spegnersi (sempre più raramente) e diventare specchi scuri che ci riflettono la nostra immagine senza colori. Black Mirror, per i pochi che non lo sapessero, parla di questo. Parla del nostro rapporto con la tecnologia e di come gli strumenti che sviluppiamo per rendere più semplice e piacevole la nostra vita abbiano la fastidiosa tendenza a tirar fuori il peggio di noi come specie, con il rischio di proiettarci in un futuro distopico. Nella serie, i problemi si verificano soprattutto quando una tecnologia viene massificata e il marketing gioca, in questo senso, un ruolo fondamentale. Proprio per questo Black Mirror è una serie importante e addirittura “formativa” per chi si occupa di marketing. Ecco alcune lezioni che possiamo imparare dall’evoluzione di questa serie.
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